Nelson Mandela è morto

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view post Posted on 6/12/2013, 13:24
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Il Padre del Sudafrica libero dalla segregazione razziale si è spento dopo una lunga malattia. Di recente le sue condizioni di salute si erano nuovamente aggravate. Da tutto il mondo messaggi di cordoglio per "Madiba" che passò quasi ventisette anni in carcere per le sue idee di libertà e uguaglianza.

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Nelson Mandela è morto. “Madiba”, il padre della lotta africana contro l'apartheid non c'è più. Il primo presidente del Sudafrica senza la segregazione razziale è morto oggi dopo l'aggravarsi della grave infezione polmonare che l'ha tenuto per settimane in agonia. Mandela si era ripreso alla fine dell'estate ed era tornato a casa dopo il crollo delle sue condizioni di salute che si erano aggravate e l'avevano tenuto in fin di vita. Il leader sudafricano era stato infatti costretto in estate ad un nuovo ricovero in ospedale dopo quello di inizio 2013.

Nato nel luglio del 1918, Mandela nel 1993 era stato insignito del premio Nobel per la Pace insieme al suo predecessore alla presidenza del Sudafrica, Frederik Willem de Klerk. Rolihlahla “il combinaguai”: questo era il nome di nascita (Nelson lo diventò dopo, alle scuole elementari) iniziò a muovere i primi passi verso la battaglia anti segregazionista appena ventiduenne, negli anni Quaranta: insieme al cugino Justice rifiutò il matrimonio imposto con una ragazza scelta dal capo tribù e scappò verso Johannesburg. Da studente di legge si unì all'African National Congress (Anc) nel 1942, fondando poi l'associazione giovanile Youth League. Nel '48 ebbe poi un ruolo di rilievo nella campagna di resistenza contro il Partito Nazionale e insieme all'amico e compagno di battaglia, l'avvocato Oliver Tambo, fondò l'ufficio legale “Mandela & Tambo” fornendo assistenza gratuita o a basso costo a molti neri altrimenti senza rappresentanza legale. Nel 1956 Nelson Mandela fu arrestato e accusato di tradimento e poi assolto. Nel 1961 divenne il comandante dell'ala armata Umkhonto we Sizwe dell'ANC avviando la campagna di sabotaggio contro l'esercito e il governo.

Nell'agosto Mandela 1962 fu arrestato dalla polizia sudafricana, accusato di sabotaggio e altri crimini equivalenti al tradimento e – insieme ad altri – ritenuto colpevole e condannato all'ergastolo, il 12 giugno 1964. Mandela rimase in prigione fino al 1990 quando le crescenti pressioni internazionali portarono al suo rilascio in un giorno storico: l'11 febbraio del 1990. Da uomo libero e Presidente dell'Anc (luglio 1991 – dicembre 1999) Nelson Mandela si candidò contro De Klerk per la nuova carica di presidente del Sudafrica vincendo e, diventando dunque primo capo di stato di colore. De Klerk fu nominato vice presidente. Nel 1999 dopo aver abbandonato la carica di Presidente inizia l'impegno sociale e di sostegno alle organizzazioni per i diritti civili, girando il mondo.

Nelson Mandela ha sempre sostenuto che durante la sua lunga detenzione, durata 27 anni, una poesia in inglese del poeta William Ernest Henley, del 1875, dal titolo “Invictus” (invincibile) è stata il principale sprone del suo continuare a combattere. La traduzione in italiano di “Invictus”, il cui titolo ha ispirato il celebre film di Clint Eastwood su Mandela, è la seguente:

Dal profondo della notte che mi avvolge,
Buia come un pozzo che va da un polo all'altro,
Ringrazio qualunque dio esista
Per l'indomabile anima mia.

Nella feroce stretta delle circostanze
Non mi sono tirato indietro né ho gridato.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
Il mio capo è sanguinante, ma indomito.

Oltre questo luogo d'ira e di lacrime
Si profila il solo Orrore delle ombre,
E ancora la minaccia degli anni
Mi trova e mi troverà senza paura.

Non importa quanto stretto sia il passaggio,
Quanto piena di castighi la vita,
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima.




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Perché Nelson Mandela era unico

Era un gigante della storia. Raccontate la sua vita ai vostri figli, raccontatela nelle scuole, nelle università. Raccontate il suo sogno. Il sogno di un mondo migliore.

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Niente ce lo ridarà indietro. Niente ci restituirà la sua forza morale. Niente restituirà il suo sorriso rotondo come il sole sopra Soweto . Niente…

Stasera non è morto un uomo: è morto un Gigante della storia. E' morto un eroe in grado di sopportare sulle sue spalle il peso di una nazione. Il peso dell'odio, delle differenze, delle torture, degli sputi, delle morti.

Un Gigante capace di fare della propria vita un sogno e del sogno realtà. Madiba ha reso il Sud Africa una nazione. L'ha fatto evitando una guerra civile. L'ha fatto rinunciando alla vendetta nei confronti di chi – per 45 anni – ha torturato, stuprato e ucciso i suoi fratelli.

L'ha fatto nonostante i suoi fratelli massacrati, imprigionati e uccisi gli chiedessero di fare giustizia.

Madiba avrebbe potuto chiedere la galera per chi aveva gettato uomini nudi in pasto ai leoni. Avrebbe potuto chiederne la condanna, l'estradizione, l'espropiazione dei terreni. E invece non l'ha fatto.

E' andato contro il suo stesso popolo chiedendo una riappacificazione di cui egli era il simbolo vivente. Sì, perché Mandela non era un Generale De Gaulle “entroaParigisoloquandotuttoèfinito”. Madiba è stato un combattente in prima linea. Un combattente delle idee. Un combattente del sogno.

Per le sue idee di eguaglianza è imprigionato e torturato in prima persona.

Per le sue idee ha trascorso ventisette anni in una prigione. Ventisette anni di sofferenze. Ventisette anni in cui la sua sola speranza era il sole che attraversava le sbarre della sua cella di Robben Island.

Chi l'ha conosciuto racconta del suo carisma, della capacità di unire attorno a sé le anime differenti della lotta contro la segregazione. Chi l'ha conosciuto non trova le parole adatte a descrivere la sua forza morale.

Nelson Mandela non è un grande uomo, è un gigante. Uno dei più grandi uomini che la Storia c'abbia mai consegnato.

Nelson Mandela va insegnato nelle scuole, nelle università, nelle case, perché il suo esempio è il suo vero lascito.

Perché quando dovremo affrontare sfide più grandi di noi stessi dovremo ripensarlo chiuso nella sua cella mentre guarda il sole al di là delle sbarre.

Dovremo ripensare al suo sguardo che va al di là dell'orrore quotidiano. Perché solo chi è disposto a sognare un mondo migliore lo cambia davvero.

Addio Madiba. Stanotte non è solo la tua Soweto che piange ma il mondo intero.



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“Il mondo intero gli sarà grato per sempre”

Le parole del presidente sudafricano Zuma nell'annunciare la morte di Nelson Mandela.

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“La nostra nazione ha perso un grande figlio. Che adesso riposa, adesso è in pace”. Con queste parole il Presidente del Sudafrica Zuma ha annunciato al mondo la scomparsa di Nelson Mandela, simbolo della lotta per la libertà e per i diritti e figura chiave dell'intero Novecento. Zuma ha ricordato come il Sudafrica moderno sia in qualche modo “figlio” delle battaglie e delle testimonianze di Mandela, anticipando che Madiba avrà funerali di Stato solenni e, con la voce rotta dall'emozione, ha annunciato il lutto nazionale. “Il mondo intero gli sarà grato per sempre”, ha concluso.

Nelle strade delle principali città del Sudafrica in decine di migliaia si sono riversati in strada, per un ultimo commosso saluto al vero simbolo della nazione.



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La vignetta di Fran: "Freedom"

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Mandela, la Makana Football Association e la vittoria del calcio sull’apartheid

Pelé ed Eto'o sul campo della Lega costituita dai prigionieri della segregazione razziale e riconosciuta dalla Fifa nel 2007. La Rainbow Nation esplose con il successo degli Springboks nel rugby e il Mondiale del 2010 in Sudafrica.

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La leggenda di Pelè accanto alla stella di Samuel Eto’o, i campioni di ieri e di oggi, Nelson Mandela e le più alte cariche del calcio internazionale, pochi anni fa, si ritrovarono su un campo arido, gibboso e pieno di buche a tirar pallonate in una porta arrugginita. Era, ed è, il rettangolo della Makana Football Association, la Lega costituita da un gruppo di prigionieri a lungo ai margini degli organismi internazionali fino all’affiliazione onoraria alla Federazione avvenuta nel luglio del 2007. A sancirla fu Jack Warner, il vice presidente della Fifa, che spedì tra i pali corrosi il primo pallone della cerimonia simbolica e spostò i riflettori sulle contraddizioni di un Paese pronto a ospitare il Mondiale del 2010.

Green Point di Cape Town, una camera con vista tra Signal Hill e l’Oceano Atlantico. Più che uno stadio, una finestra spalancata sulla storia. La coda dell’occhio conduce fino all’orizzonte e fissa un isolotto battuto dal vento a una manciata di chilometri dalla costa. Robben Island, una prigione di terra brulla e filo spinato che per quasi trent’anni è stato il luogo di segregazione per migliaia di reclusi politici, il carcere di massima sicurezza, il simbolo dell’apartheid e di un’integrazione codificata come impossibile da un regime totalitario, la linea del colore che ha tracciato un solco nella memoria dei rapporti sociali e interraziali. Lì, Nelson Mandela v’è rimasto per diciotto anni. Lì, nel ghetto costruito dai bianchi, sono stati deportati i sogni di una generazione immatricolata, senza volto e senza nome. Lì, tra le pieghe di silenzi troppo duri da raccontare a corredo di violenze e repressione, s’è formata buona parte della classe dirigente dell’attuale Sudafrica. Lì, in un lembo di sassi e nuvole, c’è tutta la forza evocatrice della resistenza dei neri al colonialismo europeo. Lì, oggi che l’Unesco ha riconosciuto quel territorio come patrimonio dell’umanità, la “dias”, l’imbarcazione che traghettava i “criminali per la pelle” in quel fazzoletto d’inferno a cielo aperto, trasporta turisti.


Discipline come il cricket e il rugby, espressioni della moralità e della cultura britannica, erano un segno di civilizzazione e uno status distintivo per la borghesia medio-alta e capitalista rispetto alla diffusione esclusivamente popolare del football, capace di unire sotto una stessa divisa minatori, operai, immigrati, uomini di lingue, culture e provenienze differenti. Molto è cambiato da allora: le diverse comunità sembravano destinate a non incontrarsi mai – vicine ma separate e circoscritte dalle strade – lontanissime l’una dall’altra per l’apartheid che le classificava con metodica maniacale. Anni dopo il regime della segregazione, l’organizzazione dell’edizione iridata del campionato di rugby e la vittoria degli Springboks, la “Rainbow Nation” di Mandela dette appuntamento con la storia al Soccer City di Johannesburg: lo stadio da novantacinquemila posti che assomiglia al calabash, la zucca che le donne sudafricane usano come recipiente, appoggiandolo in testa, per trasportare l’acqua.



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Nelson Mandela, gli omaggi musicali per lui

L'ex presidente sud africano, scomparso oggi a 95 anni, ha ricevuto nel corso degli anni numerosi omaggi musicali in onore delle sue battaglie civili che lo hanno reso uno dei personaggi più celebri del pianeta.

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Ad aggiungersi ai numerosi omaggi cinematografici, onorificenze, giornate modiali e non solo (si ricordi ad esempio il Pallone d’Oro dedicato all’ex presidente sud africano da Ruud Gullit nel 1987), sono molte le celebrazioni musicali dedicate e Nelson Mandela, scomparso oggi, all’età di 95 anni, in seguito all’aggravarsi di un’infezione polmonare. I primi ad omaggiarlo di una canzone furono uno dei più famosi gruppi ska inglesi, i The Specials, nel 1984, che intitolarono un loro pezzo Free Nelson Mandela. E similare il titolo dell’omaggio da parte dei Simple Minds, qualche anno più tardi, che inserirono nel loro disco del 1989 Street fighting days la canzone Mandela Day. È di pochi giorni fa anche “Ordinary Love”, il brano creato ad hoc per la colonna sonora del biopic “Mandela: Long Walk to Freedom”, ma anche il jazz, col mitico Miles Davis rese omaggio a Madiba con la sua “Free Nelson”, inclusa in “Tutu”, album dedicato interamente alla causa africana, fin dal titolo che omaggiava l’Arcivescovo sudafricano Desmond Tutu.

Ma anche in Italia diversi artisti non si sono risparmiati dall’onorare sicuramente uno dei personaggi più significativi dell’ultimo secolo, che ha universalmente ristabilito un nuovo rapporto tra la comunità bianca e quella nera, simbolo ineludibile della lotta al razzismo: Luca Barbarossa gli ha infatti dedicato, proprio a cavallo degli anni di lotta più strenua, una canzone inserita nell’album Al di là del muro. Ed anche Giovanni Allevi, nel suo ultimo lavoro discografico, dedica Sunrise all’indimenticabile presidente. Tuttavia, resta nella memoria di tutti, proprio in occasione del Mandela Day del 2009 dal Radio City Music Hall un omaggio a Madiba da parte di tutti gli artisti africani, radunati sul palco per cantare la celebre Give me hope Joanna.

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Nelson Mandela è morto: le prime pagine in Sudafrica (GALLERY)

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Nelson Mandela ha avuto tre grandi amori: Graça Machel l’ultima moglie

Evelyn Ntoko Mase, Winnie Madikizela e Graça Machel: sono state tre le grandi donne che hanno amato Nelson Mandela nel corso della sua straordinaria vita.

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Nelson Mandela è morto e ha lasciato Graça Machel sola. È stata lei la terza moglie, che lo ha accompagnato nel corso degli ultimi anni difficili, gli anni della malattia che hanno lasciato il mondo con il fiato sospeso per più di una volta. L’ha sposata ad 80 anni, come se l’amore non potesse mai avere fine. Prima di Graça Machel ci fu il matrimonio con Winnie Madikizela, dalla quale aveva definitivamente divorziato nel marzo del 1996, sebbene avesse mantenuto ottimi rapporti. Frequenti sono state le occasioni pubbliche, infatti, che hanno visto ritratti in foto affettuose Mandela con Winnie e Graça, strette intorno a lui come se niente contasse di più della sua serenità.

La prima moglie e la tragedia dei tre figli deceduti - Meno presente, ma non per questo meno importante, fu la prima moglie Evelyn Ntoko Mase, dalla quale divorziò nel lontano 1957, dopo ben 13 anni di matrimonio, e dalla quale ebbe tre figli. Questi ultimi hanno rappresentato una delle gioie e dei dolori più grandi della sua vita: tutti infatti sono morti precocemente. Makaziwe lo lasciò quando aveva appena nove mesi, Madiba Thembekkeli morto nel 1969 a 24 anni in un incidente e Magkatho, morto di AIDS nel 2005 all’età di 55 anni.

Il messaggio d’amore di sua figlia - La figlia maggiore Makaziwe, avuta sempre dalla prima moglie Evelyn (anche lei deceduta da poco), aveva voluto lanciare un messaggio alla radio pubblica SABC lo scorso giugno, quando il padre versava in condizioni critiche: “Non voglio mentire. Mio padre è in uno stato molto critico. Può accadere da un momento all’altro. Papà è ancora tra noi, risponde al contatto. Dio sa quando sarà il momento. Aspettiamo con lui, con papà, che è ancora con noi, aprendo gli occhi e reagendo quando viene toccato“.

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